Dentro un angolo di vita…

“Ti rendi conto di quanto ci rinchiudiamo fuori dalla vita, per comodità e per abitudine e per semplice mancanza di occasioni? La sfioriamo solo, e il tempo passa via, mentre noi siamo lì, barricati nei nostri soggiorni arredati con tanta cura…”

Andrea De Carlo

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Ho pubblicato questa frase dello scrittore Andrea De Carlo esattamente sei anni fa… e poteva avere un senso.

Oggi la prendo in considerazione di nuovo, ma il senso è molto cambiato, se non addirittura divenuto opposto!

Come possiamo constatare dall’attualità, di questi tempi non esistono solo preoccupanti mutazioni genetiche legate alla struttura virale del COVID 19, ma il virus stesso, confinandoci ormai da più di un anno entro i limiti imposti dall’urgenza di una situazione sanitaria globale che sembra non avere fine, sta producendo altrettante profonde mutazioni a tutti i livelli della nostra esistenza individuale, famigliare, collettiva.

Sta segnando e trasformando molti aspetti della nostra vita, dal punto di vista materiale, economico, lavorativo. E dal punto di vista fisico, psichico, affettivo-emotivo, attraverso solchi che cominciano a delineare ampi vuoti dentro di noi.

Lacune che con fatica potranno essere del tutto colmate e che riguardano la nostra vita di relazione, la possibilità di avere esperienze personali a tutto campo, la diffusione dell’istruzione e in generale dell’apprendimento e della cultura, la condivisione interpersonale con i nostri simili, la possibilità di viaggiare e spostarsi ovunque su questa terra, il diritto agli svaghi, a coltivare interessi, a partecipare ad eventi di tipo ricreativo e culturale o di rilevanza politica e sociale.

Ma forse qualcosa potrebbe persino dimostrarsi più deleteria di tutto ciò ed è il dilagare di una sorta di assuefazione alla privazione.

Ovviamente non intendo privazione rispetto alle necessità primarie e ordinarie di vita. Né mi riferisco a privazioni che riguardano l’esigenza di ottemperare a svariati bisogni, tra cui quelli reali, ma anche quelli indotti da una società impostata sul consumo di beni in parte superflui o addirittura nocivi alla nostra natura umana e a quella del pianeta che ci ospita. Anzi, ben venga sotto questo aspetto un’occasione per ridimensionare il tutto e compiere diverse sane riflessioni in proposito, seguite da concreti auspicabili cambiamenti.

Penso, invece, alla privazione in ambito sociale e personale, intesa e invocata come funzionale nei confronti di una necessità urgente non altrimenti praticabile. Prima fra tutte la consistente limitazione di fatto delle libertà individuali durante questo lungo periodo di tempo, praticata con l’istituzione dell’emblematico “coprifuoco” di inquietante memoria e così via, mediante le liste dei divieti e degli obblighi che hanno costellato da un anno a questa parte le nostre vite e che ancora vigeranno per chissà quanto. E aggiungo chissà attraverso quali modalità. Intendiamoci, lecite e addirittura indispensabili per fare fronte alle condizioni di gravità e di urgenza, ma in molte realtà pesanti da sopportare soprattutto per periodi di così lunga durata.

E’ un pensiero insinuante questo, che in certi momenti mi porta a compiere dei paragoni inevitabili con situazioni di scenari da fantascienza, visitati e rivisitati nell’immaginario collettivo della letteratura e del cinema del secolo scorso come in quello contemporaneo, o ad andare con la memoria agli innumerevoli eventi di travisamento e di perdita delle libertà, in cui l’umanità si è trovata travolta, a ogni piè sospinto, nel corso della propria storia.

Dirò che la cosa mi provoca un senso di latente imbarazzo, un disagio interiore di sottofondo che tento di ostacolare con ragionamenti assennati e motivazioni adeguate.

E passa, ma resta. Intendo che razionalmente comprendo, ma istintivamente interviene in me il provvidenziale avviso di pericolo che allerta la natura umana, in situazioni rischiose e che, tra l’altro, spero vivamente rimanga intatto in tutta la sua funzione di vigile protezione primigenia.

Fatto sta che siamo qui, costretti dentro un angolo di vita. Quasi come all’interno di un fermo immagine.

Il tempo passa via con il suo ritmo costante e inarrestabile e noi siamo qui, quasi del tutto fermi.

In alcuni momenti verrebbe da disperarsi, ma abbiamo compreso e abbiamo imparato a sopportare. Tutti noi, o quasi, lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo, vecchi, anziani, adulti, giovani, bambini.

Cercando di fare rientrare e di ridimensionare la paura della malattia e della morte, in agguato da mesi nella nostra vita. E l’angoscia per i gravi problemi di sostentamento economico, l’assenza di lavoro, di introiti. Precarietà che si aggiungono a precarietà.

In attesa che si possa tornare ad un qualche tipo di normalità, anche se pare proprio che non sarà più come prima.

E chissà, magari potrebbe essere anche meglio, se riusciremo a trovare la volontà e la capacità di fare tesoro di questa sventura.

Qualcosa ci insegnerà!

Se non altro un po’ di umiltà nei confronti della natura e della vita?  Se non altro il valore della vita, la generosità dei tanti?

E l’importanza della cooperazione, del mettere a disposizione dell’umanità ciò che per l’umanità intera è un bene fondamentale? Il domare la brama più becera del profitto prima d’ogni cosa e di ognuno, abolendo il lucro e la nefasta smania di potere, la perfidia tra individui e tra popoli?

E in fine a tutto, che l’indifferenza dell’uomo sull’altro uomo  e sul mondo non è possibile, ma è colpevole e complice tanto quanto il male?…

P@R

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